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L’atleta dilettante e l’atleta professionista nello sport della boxe

L’atleta dilettante e l’atleta professionista nello sport della boxe

La distinzione tra atleta professionista ed atleta dilettante in generale trova origine dalla nozione di attività sportiva professionistica e dilettantistica, la cui fonte normativa è la   L. 91/1981.

Le singole federazioni sportive, su delega del legislatore, devono qualificare un’attività sportiva come professionistica o dilettantistica.

Questo potere è esercitato solo da sei federazioni sportive, tra cui quella pugilistica, che hanno istituito il settore professionistico accanto a quello dilettantistico.

Inoltre, la FPI, al fine di ottemperare all’obbligo di conformarsi al dettato dell’art. 90 della L. 289/2002, poi modificato dalla L. 128/2004, ha   previsto nel suo Statuto che gli affiliati siano esclusivamente società e associazioni sportive dilettantistiche.

La FPI dall’anno 2014 ha iniziato un processo di trasformazione con riguardo alla boxe professionistica, che prevedeva originariamente la costituzione della Federazione Italiana Pro Boxe entro il 31 dicembre 2016, quale rappresentativo di tutto il settore professionistico, completamente svincolato dalla FPI, come si ricava dall’art. 8 della Statuto il quale prevede, entro la categoria dei tesserati, tra gli altri, gli atleti del settore APB (AIBA Pro Boxing) e gli atleti del settore AOB (AIBA Open Boxing).

Dall’altra parte però l’art. 3 co. 3 dello Statuto prevede che gli affiliati “devono essere conformi al disposto dell’art. 90 della L. 27 dicembre 2002 n. 289, come modificato dalla L. 21 maggio 2004 n. 128” e l’art. 2 co.1 del Regolamento del settore PRO prevede che “le società organizzatrici di manifestazioni pugilistiche PRO sono costituite sotto forma di S.r.L.”

Questa situazione di contrasto si spiega per il fatto che nel pugilato esistono regole tecniche diverse per gli incontri tra pugili APB e pugili AOB, così come si evince dall’art. 1 del Regolamento del settore PRO secondo cui, per pugilato pro, si intende il pugilato tradizionale, “i cui incontri si disputano sulla distanza minima di quattro riprese ed una massima di dodici riprese”.

Nel settore AOB invece, a seconda della qualifica di appartenenza, si gareggia su una distanza che varia da un minimo di tre riprese, di un minuto e mezzo ciascuna con l’intervallo di un minuto tra le riprese, ad un massimo di tre riprese di tre minuti ciascuna.

Nel caso in cui un atleta pratichi un’attività sportiva che rientra nell’ambito dello sport professionistico, potrà trarre da tale attività i mezzi per il proprio sostentamento, tramite la stipulazione di un contratto di lavoro a titolo oneroso con la società sportiva di appartenenza, la quale, a norma dell’art. 10 della L. n. 91/1981, deve necessariamente rivestire la forma di S.p.A. o S.r.l..

Il contratto di lavoro tra l’atleta professionista e la società sportiva rappresenta un tipo speciale di contratto di lavoro subordinato, la cui disciplina, contenuta nella L. 91/1981 presenta importanti eccezioni rispetto alla normativa generale in materia di contratto di lavoro subordinato.

Le suddette premesse di carattere generale vi consentiranno di meglio comprendere i concetti che emergeranno dall’intervista che in data 11 giugno 2020, ho avuto la fortuna di poter   rivolgere a chi sta intraprendendo una carriera sportiva pugilistica professionistica, allenandosi nella palestra Vecchia Maniera di Castelletto Ticino (NO).

Stiamo parlando del pugile italiano Matteo Deiana classe 1994 di Gozzano (NO), detentore del titolo dei massimi per il Piemonte e la Valle d’Aosta, e il suo Maestro Boris Viale.

Ti chiederei prima di tutto che cos’è per te il pugilato?

M: “Il pugilato per me è uno stile di vita, una strada che mi dà un indirizzo e oltre al discorso fisico dell’allenamento è una disciplina che condiziona le mie scelte, i miei gusti e che involontariamente poi applico anche in tutti gli altri aspetti della mia vita anche nella relazione tra le persone”.

B: “Per me prima di tutto è una grande passione che ho coltivato nel tempo, il bello è che ogni persona lo applica in modo differente e la parte difficile dell’insegnante è vestirlo su misura in base all’espressione di ogni persona che si affaccia a questo sport”.

Teo in che modo riesci ad applicarlo alla tua vita?

M: ”C’è una condotta da seguire, quando ti alleni lo fai per il combattimento, che non si intende solo lo scontro fisico, ma la tensione, la preparazione e alla fine si concretizza nel combattimento, in quelle 3/6 riprese e al suono della campanella nulla scompare, si porta rispetto per l’avversario e hai quella sensazione di appagamento del sacrificio e così nella vita, percorrere la strada difficile ti appaga come nulla può fare di più. La cosa che manca in altre discipline come il calcio è la parte di dolore che invece ha il pugilato, perché la sofferenza è una parte che viviamo tutti, come nello sport come nella vita”.

B: ”La vittoria non è sempre a senso unico e per vincere hai dovuto sudare parecchio e per noi sudare vuol dire anche incassare qualche colpo, così come nella vita”.

Che cosa ti ha spinto a iniziare questo sport e a chi devi il tuo avvicinamento sul ring?

M: “Ho sempre avuto la motivazione di esprimermi fisicamente, e il pugilato mi appagava in tutti i sensi”.

Cosa rispondi al luogo comune che il pugilato è uno sport per gente violenta? Cosa può dare invece a livello sociale e all’interno di un sistema di valori?

M: ”Il pugilato è uno sport che ha un gesto violento, ma non ha una condotta violenta. La cosa sbagliata è che uno pensa che se vai in una palestra di pugilato ti insegnano a tirare i pugni, mentre invece ti insegnano a controllare un pugno. Ed invece è più pericoloso chi non ha il controllo e non chi è abituato al controllo”.

B: “La prima fase del controllo è di imbarazzo per provare, la seconda fase è di presa di coscienza che si può far male a una persona, dopo altri mesi vuoi provare a fare sparring e Sali sul ring hai una sensazione di paura e il controllo viene dopo, accumulando esperienza. Una volta accumulata sicurezza e sei te quello esperto che si confronta con uno nuovo è lì puoi esercitare il controllo”.

B: “Altro luogo comune, in un momento non di controllo tipo in un litigio, un pugile, soprattutto un professionista è logico che non c’è confronto tra chi pratica questo sport e chi no, ma al di là di tutto questo il pugilato ti prepara a non perdere il controllo e non a cedere a provocazioni ed è raro che un professionista si trivi in quelle condizioni perché non deve dimostrare nulla, se si deve difendere invece si difende ma non attaccherà mai lui per primo. In più per apprendere una disciplina ci vogliono 10 anni, per cui non può essere un aggravante che un amatore inizi a litigare e applichi gli schemi impostati che si fanno in palestra, più che un vantaggio è un vincolo perché l’amatore è indottrinato e anzi non ci si accorge e siamo menati”.

Che cosa diresti alle persone che vogliono affacciarsi per la prima volta al mondo del pugilato?

M: “La prima cosa che dico è che voglio assicurare le persone che non è detto che ti spacchino per forza il setto nasale, poi è uno sport per tutti sia dalle persone prestanti che meno prestanti. Il bello è che il pugilato ti dà la possibilità anche di sfogare quell’aggressività accumulata che abbiamo tutti quanti senza combattere per forza. Inoltre ti da un ottimo spunto di riflessione per cose che vanno al di là della palestra”.

B:” Bisogna prenderlo come un’opportunità per imparare che lo scarico della tensione ti permette di uscire da qui sereno, non è necessario combattere ma l’importante è che le persone stiano bene con sé stessi e scaricarsi”.

Qual’è il valore aggiunto della palestra Vecchia Maniera?

B: ”Il suo valore aggiunto è mettere insieme le varie esperienze, io insegno da 25 anni, con l’idea di riportare dei valori attraverso lo sport che si sono persi, per questo vecchia maniera; Qui da noi siamo tutti in famiglia e mi dà fastidio non ricordarmi il nome di tutti, perché mi sembra di mancargli di rispetto e di non legare con lui, l’idea è di venire qua con noi e sentirti sereno a casa tua, e noi diciamo agli insegnanti che è il novellino che ha bisogno del nostro aiuto perché ha bisogno di sentirsi accolto”. “Il ruolo dell’insegnante è un ruolo di servizio, devo essere bravo a trasmetterti qualcosa non a puntare il dito su ciò che non riesci a fare”.

M: ”Vecchia Maniera non è un palestra, ma una scuola e questo è il senso, la cosa bella è incontrare anche persone che vogliono il loro riscatto personale, e il nostro ruolo di insegnanti è aiutare queste persone ad ottenere il loro riscatto”.

Quali sono i tuoi obiettivi presenti e futuri? E qual è stata, finora, la tua soddisfazione sportiva più grande?

M: ”L’obbiettivo a breve termine è una competizione all’estero che in un certo senso è un azzardo, perché purtroppo il pugilato non è molto seguito in Italia e l’obiettivo è sfruttare questa occasione facendo una bella performance”.

B: “L’obiettivo è di crescere nel modo corretto, e il mio compito è di tutelarlo, prepararlo e di stare sempre attenti”.

A tuo parere cosa si potrebbe migliorare, se non fare, per far sì che altri atleti come te possano fare di questo sport un mestiere? Sappiamo che oltre al calcio non è sempre facile vivere di sport.

M: ”Non riusciamo a sfondare con il pugilato perché si ha troppa paura di rischiare, ma se tu rischi vieni subito a contatto con la realtà e per questo ci vorrebbe che qualcuno rischiasse e far capire a tutti che in realtà è fattibile. Il pugilato richiede tempo e determinazione e non tutti sono disponibili a investire così tanto tempo”.

B: ”Per il discorso di carriera bisogna scindere tra dilettanti e professionisti, noi italiani a livello dilettantistico siamo sempre stati bravi e se può fare la carriera professionistica la fa e poi alla fine passa a professionismo ma è troppo tardi, oltre al fatto che le regole rispetto al dilettantismo sono differenti e se il dilettantismo è coadiuvati dai corpi dello stato a livello professionistico questo non c’è ed è per questo che il pugilato è davvero difficile perseguirlo a livello professionistico siamo ben lontani dal modello americano purtroppo”.

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